Nel suo nuovo film, adesso nelle sale italiane, il regista nipponico Kore-eda Hirokazu torna sui temi che attraversano da sempre il suo Cinema: la famiglia, le relazioni, il peso delle scelte… e la maternità, affrontata in questa storia partendo da un evento forte e doloroso, come l’abbandono di un neonato.
Nelle prime scene vediamo un bambino che viene lasciato, in una notte di pioggia, fuori da una “baby box“. Di cosa si tratta? Sono l’equivalente delle antiche “ruote degli innocenti” o “degli esposti”, posizionate fuori da ospedali (anche in Italia) e chiese.
Un sistema antico, che sta tornando sempre più in uso e all’attenzione della cronaca: negli Stati Uniti – in particolare negli stati più conservatori, dove le politiche sull’aborto sono più restrittive – ma anche in Asia.
Kore-eda racconta di essersi imbattuto nelle baby box in Giappone già dieci anni fa, durante le ricerche sul delicato tema dell’adozione per il film Father and son. Sebbene il sistema di affido e adozione sia piuttosto arretrato, ci sono ospedali forniti di queste culle.
Avevo pensato di farci un film, prima o poi.
Una volta scoperto che nella Corea del Sud il sistema – gestito dalle chiese – è molto più diffuso, con un numero di bambini lasciati nelle baby box superiore di dieci volte rispetto al Giappone, l’intera storia ha cambiato ambientazione.
La prima produzione coreana di Kore-eda è diventata l’occasione perfetta per coinvolgere Song Kang ho, al quale il regista ha pensato fin dal primo momento, e che ha dato vita a un’interpretazione straordinaria, valsagli il premio al Festival di Cannes.
Nei panni del “broker di buone azioni”, si troverà in viaggio attraverso la Corea su un furgone malandato con il socio – a sua volta cresciuto in orfanotrofio dopo essere stato abbandonato in fasce – e la giovane madre che aveva lasciato il figlio nella pioggia, tornata per riprenderlo e poi unitasi ai due per cercare una famiglia a cui vendere il bambino, regalandogli un futuro migliore.
Sulle loro tracce due poliziotte, decise a coglierli sul fatto servendosi di finte coppie impossibilitate all’adozione ufficiale.
Un film sulla Vita
Durante il lavoro di ricerca in Corea, Kore-eda ha incontrato ragazzi che erano stati abbandonati. Un’esperienza che lo ha segnato profondamente: «Guardando i bambini che si chiedevano “È stata davvero una buona cosa per me nascere?”, sono stato riempito dal bisogno di fare un film che potesse rispondere a questa domanda. Fin dall’inizio ho pensato che sarebbe stata la storia di un intermediario che vendeva bambini ma, allo stesso tempo, anche la storia di come due donne “diventano madri” attraverso il loro rapporto con il bambino.
Non volevo arrivare a una fine in cui i bambini abbandonati si pentono di essere nati, o la madre si rammarica di aver avuto il figlio. Volevo che il film fosse in grado di trasmettere direttamente il messaggio: “È stato bello essere nati”. In questo senso, Le Buone Stelle è un film sulla “vita”.»
Un film che – partendo dalle strade della Corea – ci accompagna in un viaggio nell’anima, senza mai giudicare, ma sempre facendoci riflettere e interrogare sul significato del nostro essere al mondo, e delle nostre azioni.
Non parto con l’intenzione di cambiare la società e di influenzarla. Ma sono felice se i miei film cambiano lo sguardo e generano discussioni tra il pubblico.
Kore-eda Hirokazu, intervistato su Robinson – la Repubblica